giovedì 28 novembre 2013

CALCIO E SCUOLA, BINOMIO IMPOSSIBILE?




GIANNI Morandi si sbagliava: uno su 35.000 ce la fa.
Gli altri 34.999 giovani calciatori non raggiungono la serie A. Francesco De Gregori non la diceva tutta: un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia e dagli anni di scuola che ha perso.
Lo sostiene una ricerca, peraltro senza pretese scientifiche, secondo la quale il 95% dei ragazzi classe 1992 che giocano in squadre professionistiche piemontesi (Juventus, Torino, Novara, Canavese e Pro Vercelli), è in ritardo con gli studi o li ha addirittura abbandonati, mentre il 12% ha cambiato indirizzo scolastico.E' questo il dato forte al centro del seminario che si terrà oggi, alle 17, presso la Basilica di San Filippo Neri, in via Maria Vittoria 5.
Il calcio nel settore giovanile: momento di crescita civile e sociale o fabbrica di futuri emarginati? A questa domanda risponderanno, tra gli altri, il responsabile del settore giovanile e scolastico della Figc Gianni Rivera, il direttore dell'Ufficio Pastorale per lo sport della Diocesi di Torino Don Aldo Bertinetti e l'onorevole Giorgio Merlo, parlamentare del Pd.E in rappresentanza della leva calcistica del '92 ci sarà Alessandro Gaiotti, terzino del Santhià, reduce da un'esperienza molto positiva di studioe calcio in Irlanda, nelle fila dei Bray Wonderers. Come dire, "si può fare".
«Il problema di fondo - spiega Sergio Gaiotti, presidente del circolo "Partecipare per Testimoniare" che organizza il convegno - è la mancanza di dialogo tra scuola e società calcistiche. Il fenomeno è purtroppo sempre più grande e preoccupante. Accade spesso che ragazzi appena adolescenti vengano sradicati, con il miraggio di diventare futuri campioni del pallone, dalla propria regione. Si tratta quasi sempre di figli di famiglie con un'istruzione medio-bassa. Trasferiti in un contesto diverso dal luogo di origine, alloggiati nei pensionati, risentono della pressione dell'ambiente: prima deve venire assolutamente il calcio, poi, eventualmente, la scuola». Insomma, la pagella del quotidiano sportivo arriva prima di quella del prof.
In effetti lo studente bravo a scuola come nello sport è rarissimo, un alieno che può creare persino imbarazzo, quando i professori si sforzano di capire le sue esigenze sportive che possono anche tradursi in inadempienze scolastiche. Siamo molto distanti dal modello statunitense, col campione sportivo appetito e coccolato dal college, che lo ritiene trainante in chiave di pubblicità. Il Coni aveva creato tempo fa un istituto privato per atleti-studenti di interesse olimpico. E ci sarebbe pure il liceo sportivo. Ma siamo sempre su numeri piccoli.
Se ai Giochi di Pechino 2008 i laureati della delegazione italiana erano 30 su 347, il calcio è abbondantemente sotto media. In serie A, infatti, il 22% dei calciatori ha la licenza media, il 72% ha ottenuto il diploma e soltanto il 6% è arrivato al titolo di dottore. Il dottor Chiellini, 25 anni, fresco di Laurea triennale in Economiae Commercio, e intanto leader bianconero e azzurro, è un'eccezione, quasi un fenomeno.
La verità, spiacevole ma... vera, è che in Italia lo sport e la cultura non hanno legami, anzi si contrappongono. Il calcio rutilante, seducente, opulento di promesse, sembra fatto apposta per prendersi in esclusiva la vita dei ragazzi, anche se Morandi si sbaglia.
TIMOTHY ORMEZZANO

http://www.repubblica.it

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